Happy Casa, cosa fare con Iannuzzi? Aiutarlo si può...
Nell’inizio di stagione esaltante dell’Happy Casa Brindisi c’è un giocatore che, come il brutto anatroccolo, ha mostrato rispetto ai compagni enormi difficoltà a trovare la sua dimensione nella squadra: parliamo di Antonio Iannuzzi.
Se però all’inizio le difficoltà erano per lo più tecniche, nelle ultime partite si sta andando oltre, perché è evidente che fra sbagliare un tiro o un passaggio ed avere difficoltà anche ad afferrare tra le mani una palla passata da un compagno c’è un certa differenza.
Iannuzzi, prima di lasciarsi andare a superficiali conclusioni come “non è da serie A”, occorre ricordare che per arrivare in A la sua carriera l’ha fatta e bene, gavetta compresa. E’ cresciuto nel settore giovanile della Mens Sana Siena, negli anni in cui dominava il campionato di serie A, ed ha ben figurato tra A2 e B1 fino a esordire in serie A con l’Orlandina nella stagione che portò ai playoff i siciliani (16-17), con le medie di 8.5 punti e 4.2 rimbalzi in 21’. Persino a Torino l’anno successivo, squadra costruita per le zone alte della classifica con gente come Trevor Mbakwe e Stephens con cui si divideva i minuti, si è fatto rispettare, trovando nel mentre la convocazione in nazionale. Inoltre la sua prima breve esperienza a Brindisi (meno di 3 mesi), checché se ne dica, non fu così negativa. Se lo fosse stata, siamo certi non si sarebbe fatto un altro tentativo.
Fatta questa doverosa premessa, Iannuzzi aveva mostrato un drastico calo di prestazioni già lo scorso anno a Varese, quando il suo ruolo era cambiare Tyler Cain. Attilio Caja è un coach che pretende il massimo dai suoi uomini, soprattutto in difesa, e non è certo uno delicato quando il piano partita non viene rispettato alla perfezione. Quando Antonio ha iniziato a palesare le sue difficoltà il minutaggio è andato fortemente in calando, fino ad uscire quasi dalle rotazioni nelle ultime partite.
Questa stagione invece il rapporto con la piazza di Brindisi è partito male già in estate, con il suo ritorno accolto più da mugugni che da auguri, probabilmente perché per il doppio impegno ci si aspettava un nome più altisonante per la panchina (si parlava di Cusin o Cervi).
Inutile dire che questo clima non abbia aiutato l’inizio di stagione del ragazzo, che a differenza di uno straniero percepisce molto di più la sfiducia intorno a sé, soprattutto quando si gioca in casa; se poi il ragazzo è di per sé caratterialmente fragile, il tutto viene ancora più amplificato.
Tornando a parlare di tecnica, finora Iannuzzi ha giocato davvero bene una sola partita (quella di Champions League contro il Neptunas Klaipeda), ed è stato sufficiente contro Milano e Bonn. Nel resto delle partite ha alternato buoni movimenti in attacco ad errori grossolani che in alcune occasioni diventavano erroracci. Diverse volte lo si è visto fare buoni blocchi per Banks o Zanelli lontano dal canestro (cosa che sa fare meglio) per poi sciupare tutto: o commettendo fallo in attacco o facendosi goffamente sfuggire la palla dalle mani. Clamorosa l’ultima, nella vittoria a Trieste, quando dopo un buon pick and roll con Martin ha mancato incredibilmente la presa su un pallone che era solo da adagiare al canestro. Sono tutti errori talmente banali da rendere evidente il problema emotivo che ci sia alla base.
Cosa fare allora con Antonio? Semplicemente lasciarlo in pace e trattarlo al pari degli altri, a maggior ragione se i risultati in campo permettono di non doversi soffermare su di lui. Situazioni come i mugugni, gli sbuffi o i “nooo” sussurrati quando va a sedersi sul cubo del cambio (che, lo assicuriamo, si sentono…) sono esattamente ciò che mortifica ancora di più un atleta in difficoltà, che se pur pagato per giocare è pur sempre una persona, e siamo certi sia la prima a non essere contenta del suo rendimento. In situazioni simili capita che un banale appoggio al vetro sembri un elefante da sollevare, e uno scarico al compagno sembri il lancio di una palla medica.
Abbiamo visto anche in passato proprio a Brindisi giocatori in difficoltà che hanno dovuto convivere, oltre che con i propri limiti, con un clima di sfiducia intorno a loro, situazioni sempre spiacevoli.
Ha fatto eccezione un giocatore alcuni anni fa: Nemanja Milosevic. Nonostante l’evidente rendimento al di sotto delle aspettative, una grossa fetta di tifosi ha avuto molta più pazienza e compassione per il buon Nemanja, che in una situazione analoga però, a differenza di tanti altri, era uno che esternava le sue difficoltà, sbracciandosi e disperandosi dopo ogni errore.
Col massimo affetto che anche noi abbiamo avuto per il montenegrino, ci preme sottolineare che un giocatore che, dopo aver sbagliato, semplicemente abbassa la testa senza fare gesti plateali, non soffre meno la situazione di chi fa il contrario.
Un intervento sul mercato, come invocano alcuni, è inverosimile per motivi sia economici (si presuppone che un eventuale intervento venga fatto solo in caso di infortunio), sia perché trattandosi di un italiano il cerchio da cui attingere è molto limitato, a meno di doversi rivolgere a giocatori vincolati da un altro contratto…
Più verosimile è invece recuperare proprio Antonio, aiutandolo nel nostro piccolo con il sostegno, un incoraggiamento, una pacca sulla spalla. A volte può bastare anche un applauso dopo un errore, un canestro fatto in un momento delicato, una stoppata roboante per far cambiare di colpo una tendenza.
Siamo certi che anche lui, superato un blocco mentale, possa tornare a dare un contributo positivo a una squadra che in una stagione così lunga e con il doppio impegno avrà sicuramente bisogno anche di lui.
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