
La lettera dell'on. Mennitti a Mons. Rocco Talucci
Ecco l'intervento di Mennitti al cinquantesimo di Mons. Rocco Talucci:
Sono orgoglioso di rappresentare la comunità brindisina nella felice circostanza di augurio al nostro Vescovo e sono grato al Commissario del Comune di Brindisi, dr. Bruno Pezzuto, per aver deciso di attribuire a me il privilegio di rivolgergli il saluto. Questo non è il momento del commiato, perché portare a compimento la funzione di Vescovo non segna la fine del ruolo, ma appunto della funzione. Un Vescovo non è un alto dirigente il cui ambito di lavoro è limitato alla gestione amministrativa di una Diocesi. Naturalmente ha tempi e luoghi dove svolge la propria funzione e lascia l’impronta del proprio operato ovunque sia chiamato a difendere, a diffondere, a sostenere la Fede che lo anima.
Questa sera perciò la comunità brindisina non celebra una cerimonia, ma radica, anzi cementa un rapporto. Fra il Vescovo e il popolo dei fedeli, dei quali ha dovuto guadagnare la stima, conquistare il rispetto, superare diffidenze, gettare le fondamenta di una costruzione stabile che è morale e civile insieme. Rocco Talucci, uomo e sacerdote, non è nato Vescovo, piuttosto prete, nel senso più ordinario e corrente del termine, ed ha percorso un lungo cammino avviato a Venosa, la città dove è nato nella vicina Basilicata, con sosta a Tursi, un centro carico di inquietanti memorie.
Ha approfondito le ragioni della sua scelta di vita a Salerno, una grande scuola dove si formano i preti del Mezzogiorno e dove si svolgono i processi formativi, molte volte innovativi, che rendono complessa la vita al Sud.
La sua esperienza brindisina non è stata facile (niente è facile in questa città) e per lui è stata di lettura ancora più difficile perché temporalmente collocata in una fase di disagio morale e politico a causa di una serie di eventi di diffuso malessere.
Gliene ho fatto cenno in una personalissima lettera che gli ho trasmesso quando ho rassegnato le dimissioni da Sindaco: a Monsignor Talucci nessuno ha offerto aiuto per interpretare fenomeni specifici del luogo e il credito se l’è dovuto guadagnare passando a riscuotere alla Banca del rigore e della buona fede.
Quando il Papa lo deciderà, ricomincerà quasi certamente da dove è partito. Gli uomini subiscono sempre il fascino del territorio, dove ognuno ha radicato il proprio carattere, che per alcuni è temperamento, per altri mediazione. La saggezza di un pastore sta nell’individuare il “giusto mezzo”. Guai se un uomo che talvolta è chiamato a decidere anche per gli altri ritiene di poter decidere e mediare sempre. Un Vescovo – come chiunque si proponga di guidare una comunità – deve essere giusto con gli altri e rigoroso con sé stesso; deve essere attento a non ledere mai gli interessi, tanto meno i diritti degli altri. Lo ricorderemo per molte, valide ragioni, ma soprattutto perché resterà nel ricordo dei brindisini “il Vescovo del Papa”, colui che – dopo circa un secolo di assenza – (vogliamo chiamare le cose con il loro vero nome? Allora: dopo un secolo di distrazione nei confronti di una città e dei suoi abitanti) ha indotto Papa Ratzinger a “sciogliere le vele” facendo rotta sul porto di Brindisi, una infrastruttura che ha il valore di un simbolo, evoca pagine intense di storia, si propone come ponte verso il futuro.
Tutta la comunità considera indimenticabile quella giornata di fede e di festa popolare, ma è scritto dove merita che Monsignor Talucci è stato il grande protagonista di un evento consegnato alla storia. Il destino degli uomini – qui neppure i Vescovi fanno eccezione – è ritrovare le radici, i campi calpestati dall’infanzia. I luoghi dove ha operato sono pure quelli dove ha inciso sulla sua vita e su quella degli altri. Consideri Brindisi anche la sua città, il luogo in cui dalla cattedra di Piazza Duomo ha diffuso umanità e sapere. Fino a pochi anni fa, quasi tutti pensavano che la religione sarebbe scomparsa con la fine del bisogno, della paura, dell’ignoranza. Era il presupposto di un grande libro sbagliato: L’eclisse del Sacro di Sabino Acquaviva. Non è accaduto così. E la gente ha ancora più di prima fame e sete di riti, di culti, di fede, di certezze. Non siamo arrivati al tramonto del Sacro: siamo, anzi, al “sacro diffuso”, quello delle neo-religioni. “C’è un paradosso nella croce – osserva Franco Cardini, ordinario di storia medievale all’Università di Firenze – vergogna, patibolo, “disonor del Golgota”, eppure anche bisogno di potenza e di gloria, simbolo che sovrasta i troni e le corone. Chi accetta di portarla sa di votarsi all’umiliazione e alla sconfitta. È una religione di perdenti che attraverso l’umiliazione dominano la terra”. Quando un povero prete parla, tacciono i padroni della terra.
Domenico Mennitti
Commenti